Riccardo Luchini

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RICCARDO LUCHINI

Riccardo Luchini è nato a Milano. Ha svolto il ruolo di docente presso l'Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, l'Accademia di Belle Arti di Roma, l'Accademia di Belle Arti di Carrara e Accademia di Belle Arti di Urbino.

Vive e lavora a Pieve a Elici, Massarosa (Lucca).

Hanno scritto di lui: Tommaso Paloscia, Dino Carlesi, Nicola Micieli, Paolo Levi, Massimo Bertozzi, Claudio Giumelli, Giuseppe Cordoni,Giovanni Faccenda, Lodovico Gierut, Anna Vittoria Laghi, Serena Vanzaghi, Melina Scalise, Paolo Nerbi, Stefano Silvestri.

Giovanni Faccenda

 Riccardo Luchini , Urban Landscape

Viareggio. Vengono in mente alcuni versi di Testori: “ Canta nell'orrore degli spasimi/quando ogni evento/sembra farsi negazione e ombra.” Echeggiano, remoti, all'interno dei paesaggi urbani di Riccardo Luchini, soprattutto dinanzi all'asciutta rappresentazione di luoghi che esprimono una
poesia asprigna ed essenziale nonché una tensione esistenziale vibrante e fortemente evocativa.
La pittura, febbrile, dissotterra umori variegati; immediatamente, li trasferisce in una dimensione del visibile nella quale l'apparenza è soltanto una proiezione di ciò che vi abita in modo germinale:
pensieri, ricordi, distinti stati d'animo.E' in questa realtà soggettiva- beffarda poiché apparentemente
facile da decifrare- che Luchini ambienta contesti urbani risorti in chiave sentimentale: luoghi di
partenze, ritorni e transiti nei quali il fantasma dell'uomo moderno aleggia con spessore emblema-
tico.
Prospettive vertiginose scandiscono successivi ambiti di strade, ponti,case e binari”morti” di ferrovie in cui ti è dato soltanto di immaginare treni dismessi: cancellati, questi, come ogni impronta umana negli isolati scenari circostanti. Ma l'assenza è solo fisica, tanto da costruire un sublime paradosso di fronte alla moltitudine di anime che insistono invisibili in ogni specifico angolo del curato contesto iconografico.
Si direbbe un ulteriore versante del realismo esistenziale quello che Luchini raggiunge con considerevoli temperature emotive: attesa da contradditorie ribalte metropolitane- dove, di tutto, alla fine è vero soprattutto il contrario-, la ricerca del talentuoso pittore giunge infatti a distillare
entità immateriali che pullulano nell'ariamcome inquietanti presagi.
L'impianto cromatico, scevro da artificiosità e succedanei,collima fertile: vi si mescolano toni e
trasparenze che esaltano una diffusa dominante di grigio cenere sospesa nell'aria e nelle tipiche
atmosfere con periodicità eloquente. Il resto - brividi, palpitazioni,speranze spente nel disincanto-
non può che riverberarsi, ermetico ben oltre.

Partenze e Spazio urbano come narrativa della nostra vita di  Giammarco Puntelli,critico d'arte


Li abbiamo visti durante un viaggio in treno, dall'auto in corsa, da un ricordo, da una vecchia fotografia.
Sono gli spazi urbani, reali o rappresentazioni della mente che diventano rappresentazioni d'arte.
Lo diventano per nostalgia, per diritto, per capacità tecnica, per scelta artistica. E' la pittura raffinata
e non invadente , efficace e narrativa di Riccardo Luchini..............
Pittore vero, maestro nell'uso del colore che entra silenziosamente nel profondo, straordinario nel disegno. Le sue stazioni, periferie, spazi urbani, anche in abbandono,ci parlano di quei luoghi mentali che danno dignità a ricordi, a esperienze, a presenze di oggetti, ci raccontano di un uomo la
cui assenza è solo rappresentata ma non reale.
Le architetture diventano attoriper raccontare e condividere un'emozione e uno stato d'animo.
Turner e altri maestri ci hanno insegnato come un tema in realtà possa nascondere una ricerca pitto-
rica verso, in quel caso, una luce come necessità. I grigi e le realtà di Luchini rientrano in quel
viaggio interiore che fissa l'esperienza in un attimo eterno di vissuto.
Hanno un valore poetico e filosofico le sue partenze da un luogo mentale ad una destinazione sco-
nosciuta, forse un'illusione del colore e del tratto.......
Altro aspetto che desidero sottolineare, in questo breve testo, è la capacità tecnica di Riccardo Lu-
chini che riesce ad inserire nella sua opera quell'ingrediente dinamico,fra movimento e velocità che rispecchia e si riconosce  nella vita vera,quotidiana, interiore e reale.
Gli spazi,le visioni, le partenze, la narrativa degli oggetti e dei non luoghi, la sua capacità tecnica
fanno dell'arte e delle opere di Luchini pagine di valore del catalogo storico dell'arte contemporanea
e soprattutto pagine di emozione per chi ha la sensibilità di leggerle fra le grigie pieghe urbane
della nostra vita.
 
Spoleto, ottobre 2014

Testo critico di Anna Vittoria Laghi

 Più volte mi sono chiesta da dove provenga il fascino della recente pittura di Riccardo Luchini,
l'artista versiliese che dopo avere indagatola vita misteriosa delle cose- ritraendo forme silenti di
tavoli,barattoli, bottiglie e tubi di colore- si è aperto a rappresentare altrettanto silenti stazioni
ferroviarie dimesse con oscuri cavalcavia,capannoni industrialiabbandonati,grattacieli e palazzi
anonimi di un'improbabile,eppur reale, periferia urbana.
“Zone franche” sono state definite, queste opere, nella recente mostra tenuta alla Galleria Magenta
di Milano,quasi a conferma di una pittura che con accenti di verità, ci accompagna alla scoperta di
ambienti industriali nati spontaneamente e spesso, ahimè, senza un preciso progetto urbanistico,di
territori di confine fra città e campagna, dei tanti luoghi senza identità che non offrono servizi al
buon vivere civile. Ma quei luoghi, che nella realtà della vita allontanano e respingono, ora,nella trasposizione pittorica operata da Luchini, attraggono e seducono.Invitano ad entrare, suggerendo
anche, il senso profondo della differenza fra queste e le tante altre restituzioni simili di paesaggio urbano.
E allora, in cosa consiste la ragione della magica attrazione di questi luoghi di periferie urbane
dimenticate? Innanzi tutto, io credo, in una qualità pittorica originale e sapiente che obbedendo a
motivazioni interiori del tutto personali fa assumere agli oggetti rappresentati un valore “altro”.
E quegli oggetti si fanno simboli astratti di una realtà nascosta, una realtà fatta di solitudine e silenzio. Diventano “i non luoghi”di una metafora aggiornata che trasforma in poesia la realtà
presente. Dino Carlesi nel bel saggio del 1994, inserendo Riccardo Luchini fra le presenze artisti-
che “più vive ed interessanti della Versilia attuale”, faceva riferimento ad una pittura ottenuta per
“via di levare” piuttosto che per sovrapposizione di strati. Una pittura che, da un primitivo caos di
materia e di colori, sull'esempio di Michelangelo,permette agli oggetti di manifestarsi, quasi per
incanto, nella loro indubbia riconoscibilità. Poi, più di recente, la pennellata veloce e rapida ma  anche corposa, si è aperta al dinamismo e alla velocità.
Una dinamicità intensa, incessante,che si fa quasi ritmo. Percorre l'intera superficie del dipinto,non
lascia nessun spazio scoperto e invita a vivere gli oggetti rappresentati, mentre li invade e li coin-
volge nel suo continuo pulsare. E quegli oggetti, quasi per un ulteriore gioco che medita sugli effetti
ottici, nel ricordo di Seurat, si sfocano e si dissolvono, si ricompongono e si fanno riconoscibili secondo la distanza che li separa da chi li osserva.
E' nel dinamismo, acquisizione recente della sua pittura che in precedenza riportava gli oggetti nella
dimensione di un magico realismo, l'altra ragione del fascino.Un dinamismo, dove la lezione futurista, certamente viva e presente, sembra trovare una sua inconsueta ed originale lettura. Perchè se il dinamismo significava inno al progresso e fiducia nella civiltà della macchina,e se questa fiducia veniva espressa dai rossi brillanti e dagli intensi verdi di Boccioni e di Balla, non possiamo non scorgere, nella pittura di Luchini, una sorta di poetica malinconia che l'assenza della figura umana rafforza. Giocata nei toni dei marroni, dei neri e dei grigi, si fa quasi denuncia di una
condizione, mentre incita a riflettere: non vi è forse, nel progresso, alienazione, solitudine, spaesamento, perdita di identità?
Ed ecco, allora, che questa pittura, pur nelle indubbie ed originali sperimentazioni futuriste, sembra
tornare, coerentemente, nall'alveo di una ricerca precedente, quando l'artista donava dignità di og-
getti preziosi alle cose del quotidiano e ritrovare, in quella cultura fiorita fra Milano e Viareggio
intorno agli anni Sessanta, la sua più vera ed autentica fonte di ispirazione.Riemerge,cioè, nei suoi
dipinti più recenti, il ricordo di quel realismo di matrice esistenziale alla cui scuola Luchini si è
formato come artista.Quel realismo che descrivendo città e periferie urbane si faceva denuncia della solitudine umana e che ha lasciato il segno nelle luci polverose delle metropoli lombarde di Gianfranco Ferroni e di Sandro Luporini, nella pittura di paesaggio di Giuseppe Martinelli e di Giuseppe Banchieri.
Certamente il segno di Luchini stempera quei ricordi trasformando il realismo intriso di poesia in una dinamica e veloce lettura dell'oggi. E questo inserisce l'artista, e di diritto, nel contesto nazionale ed internazionale della cosiddetta Nuova Figurazione Italiana, il movimento aggiornato e
colto che con l'ausilio di una pittura veloce,realistica,e al tempo stesso futuribile, denuncia temi at-
tuali, indaga con attenzione il rapporto tra arte e ambiente, denuncia i danni prodotti dalla mano
dell'uomo. Una pittura, dunque, nuova e aggiornata quale è quella di Luchini che saldando insieme
le sue radici versiliesi a queste nuove sperimentazioni, ci offre un valore in più.
La sua pittura affascina e attrae, mentre denuncia.

Andando verso le città dissolte

(...) Città che non facciamo più in tempo a vedere: lambite sempre dalla nostra corsa folle d'essere altrove. Città che non più amate, perdono anche la loro consistenza reale. Non sprofondano, come dopo un cataclisma; si direbbe piuttosto che si dissolvano: o meglio che qui siano colte proprio un istante prima di sparire: quasi che un soffio di vento bastasse a spazzar via queste loro apparenze di cenere. Se non vi fosse il pittore a catturarne l'ultima parvenza, al limite del visibile: memoria tesa che tutto vorrebbe in se trattenere e salvare di questa loro effimera esistenza. Come se, sul punto di dover soffrire questa loro perdita definitiva, egli fosse l'unico - consapevole - ad accoglierne l'addio, struggente e senza ritorno; e non potesse far altro che, febbrilmente, stenografarne le più intime giunture segniche e quelle loro estreme accensioni cromatiche. Quasi così ad impedirne la dissolvenza finale.

Sarebbe comunque fuor di luogo confondere questa più recente poetica della fugacità, frutto di una lunghissima decantazione formale, con qualsiasi facile registrazione aneddotica dell'immediato. Chi volesse rinvenire la prima matrice di queste struggenti visioni urbane in quelle che furono le denuncie di un Realismo esistenziale di mezzo secolo fa, o nelle mutazioni del mondo delle cose che colse la Nuova Figurazione, dovrebbe innanzi tutto constatare come questa pittura di Luchini, piuttosto che emularle, chiuda invece le ipotesi linguistiche di quella temperie artistica con un suo riscontro definitivo. Di fronte alla nostra attuale perdita del sentimento del reale, in Luchini, non v e protesta, denuncia o ribellione. V'è piuttosto uno sguardo d'intima sofferenza e di pietà; essendo, invece, la sua una pittura silente, che in sé trattiene il respiro della vita che si smarrisce.

Una pittura che agglutina le emozioni, ne fa tesoro - e ancor prima di palesarcele - le stratifica e le nasconde dietro la densità delle sue molteplici rivelazioni di colore - segno. Cosicché quella che a prima vista noi percepiamo quale momento fugace al limite del suo apparire, a ben osservare, ci si accorge, invece, d'esser di fronte alla cangiante mobilità d'un magma emotivo ove ancora, incandescenti, balenano gli stati d'animo. Ad uno specchio che accoglie nei suoi riverberi senza fondo la nostra più instabile esperienza delle cose. Ed ecco allora come, di visione in visione, una città dopo l'altra ci riserva il dono della sua ultima solitudine. Con selve incerte di palazzi - caserme - grattacieli che s'assiepano sullo sfondo: assaliti dai grigi che ormai già li stanno divorando, malfermi, galleggiano su dilavate ombre mobili d'asfalto; oppure, ormai irraggiungibili, si dileguano laggiù, al limite d'una sterile brughiera.

Anche ciò che resta della nuda carcassa di qualche opificio industriale abbandonato si direbbe che vibri ancora dei rumori che l'hanno attraversato. Torri, ponti, scale, cin­ghie slabbrate ormai sul punto dell'ultimo crollo. Con quei grumi umanissimi di bruni ed ocre squillanti, come ancora impastati di sole, fatica e sudore (Cancasseur, 2001). Anche l'armoniosa veduta d'una Viareggio contemplata dall'alto, così a lungo portata nel ricordo, adesso - forse più nella percezione comune che nell'intimo sguardo del pittore - s'è slavata, sfuocata e incupita in una landa di desolata infinitudine, (Laggiù, di là dal molo ed oltre, 2002); come se la ruggine della sua stessa stanchezza d'esistere avesse contagiato persino il volo delle grandi nuvole e delle lingue di mare spento dalla loro migrante opacità. Anche le sagome ravvicinate dei cantieri, o il profilo di darsene in lontananza, s'accampano sullo schermo visivo-pittorico con un variopinto dispiegarsi di strutture concitate. Quando mai prenderanno il mare questi lunghi scafi (forse domani yachts elegantissimi), le cui viscere intricate e incompiute ancora non hanno trovato una forma finale; ed allo stesso tempo mostrano quale travaglio si celi dietro ogni forma compiuta (Darsena 2, 2007).

Andando verso l'ultimo incanto degli oggetti

A dire il vero, una tale modulazione degli spazi aperti in cui s'afferma e si consolida questa poetica della fugacità d'ogni apparenza, nella storia stilistica di Luchini, risale a molto lontano. Forse già da decenni, nell'appartato spazio del suo studio - essendo divenuta ormai improbabile se non impossibile, per lui, ogni riposata ed estatica contemplazione degli oggetti, di morandiana memoria, con dolorosa sorpresa ha scoperto di quanto problematico, incerto e provvisorio risultasse, in fine, il nostro dialogo con gli oggetti e le cose. Non dissimile, in fondo, da quello che a fatica si stabilisce con i nostri simili. Anche le cose tradiscono, infatti, - al pari di quella della creature che incontriamo - una sorta di forma cangiante, di species - anima inafferrabile. Un'apparenza che a noi si dona immersa nell'incessante variar della luce che ce le mostra o del ricordo che, intermittente ce ne restituisce sempre un aspetto mutato.

Anche le cose, per esistere, esigono attenzione ed amore; altrimenti finiscono per dissolversi, come le città che ci spariscono dallo sguardo: quali non fossero mai esistite, se cessiamo di contemplarle. In fondo, quale reale diversità di ritmo compositivo è rintracciabile fra la dirompente sintassi spaziale di "Silos, 2003" e quella così sghemba e divaricante di "Angolo dello studio, 2000"? In entrambi i casi, lo spazio assume un dinamismo centrifugo ed esplosivo. Diresti, nel primo caso, che in questo irrompere (dileguarsi?) della massa degli opifici, sia la stessa intima coesione della materia a venir meno; così, come nel secondo, sembra lo spazio stesso esplodere e dilatarsi, strappando umili gruppi d'oggetti alla dolcezza della loro quiete ed un colloquio certo di forme stabilizzate, sin quasi a scaraventarle fuori dal campo della stessa tela. (…)

Cordoni Giuseppe, 2008

L'artista è il primo a essere coinvolto in episodi di memoria che lo stimolano a innamorarsi del modello base della propria pittura: un atteggiamento provocato forse dal timore di attenuarne o addirittura di perderne le tracce, solo che accenni a una più vasta tipologia di scelte. Per cui il mobile ligneo, elemento ripetitivo anch'esso privilegiato nella scena offerta dall'ambiente studio nel quale convivono i modelli e le immagini, può arricchirsi solamente di tentativi cromatici leggermente più "arditi" che toccano l'oggettistica ritualmente sovrappostagli. E solo quella. O al massimo, così come accade nelle più recenti "avventure" maturate in quella sorta di paradiso delle mezzetinte che Luchini giustamente non vuol perdere, il punto di osservazione arretra di qualche passo per abbracciare più ampiamente quel regno della solitudine. Né la presenza di un nudo, improvvisamente piombato con scarsa convinzione tra i cavalletti e i barattoli, riesce a modificarne l'atmosfera che è incorruttibile Tuttavia, ad evitare che questa pittura offra la sensazione di uniformità tematica rischiando di apparire monotona anche se in realtà monotona non è, interviene oggi qualche variante dei soggetti ad allentare la ripetitività che puù sembrare ossessiva. Ed è invece fascinosa. Come in un catalogo morandiano osservato alla luce ovattata di un abat-jour da secessione"

Tommaso Paloscia, 1993

Considero questi paesaggi e questi oggetti, allineati nell'aria e sospesi al filo della memoria, delle alte pagine di poesia, elementi logorati dal tempo già prima del loro nascere, sacrificati ad una loro scontata macerazione fisica. Il riscatto viene operato da Luchini nel momento che l'apparizione si fa così ambiziosa da apparire mossa da uno struggente attaccamento alla vita, cioè alla loro incerta presenza sulla tela. Siamo al limite della realtà, a metà strada tra l'indugio memoriale e l'urgenza impellente della vita, che testimonia però una fase di continua rinascita alla vita dell'arte. I valori estetici permangono e permarranno finché giovani artisti continueranno a lavorare così, rinnovando perfino una tradizione nobile come quella versiliese, apportandovi elementi tecnicamente diversi ma capaci di suscitare ancora emozioni in chi li guarda. Con Luchini siamo fuori dalla superficialità, ogni grumo è semanticamente ricco di significati plurimi, legati sempre ai simboli sull'orlo del loro abisso e come tutti gli abissi attraente per suggestioni e rischi. Dal mare del colore emerge la materialità delle cose comuni a cui improvvisamente ci lega un comune destino di disfacimento. Credo che esistano dei seri motivi per guardare a questa pittura con estrema attenzione".

Dino Carlesi, 1990

Nel caso di Luchini la temperatura espressiva decisamente si alza, anche se mai si manifesta in segnali di fuoco. La materia appare un impasto denso e sedimentato, il colore tende alla monovalenza, su una gamma di tonalità basse, dominando i bruni e le terre bruciate, i passaggi dall'ombra alla luce non sono in qualche modo rilevabili come stacchi di aree pittoriche, ma consistono in variazioni intrinseche alla materia, e dunque il clima pittorico appare particolarmente idoneo a rappresentare momenti di intensa esplicazione esistenziale. Luchini sta a mezza via tra la realtà che diciamo riconoscibile e quella della pura materia pittorica di assegnazione informale. Questa sua posizione liminare non è irresolutezza o incapacità di scegliere una delle due parti. Anzi, essa esprime in modo assai convincente uno dei temi centrali della meditazione sul destino che trova nella pittura, in quel baluginare dell'immagine tra l'essere e l'estinguersi, la sua inquietante e intrigante metafora visiva.

Nicola Micieli, 1994

La poetica delle piccole cose e la "pietas" per quanto accompagna silenziosamente l'uomo nel suo abitare la terra, sono forse il tratto più significativo del lavoro pittorico di Riccardo Luchini. In lui c'è una spiccata abilità nel far parlare gli oggetti con la loro voce più segreta, assemblandoli in composizioni di sottile poesia, venata di malinconie e di ripensamenti. Luchini, al pari di un antico poeta romantico, ricerca le essenze e le veste della propria sensibilità, badando soprattutto al contenuto sentimentale del messaggio, la tecnica è sofisticata, molto personale, come impone questa sua arte fatta di silenzi e di brevi frasi appena sussurrate".

Paolo Levi, 1995

Aveva tentato di reagire al fascino della pittura frequentando a Pisa la facoltà di medicina, ma la passione ha preso il sopravvento sulla ragione e la strada che Riccardo Luchini ha seguito è stata quella di dipingere che è a livello professionale, pur usufruendo dell'appoggio dell'insegnamento. Si tratta di una pittura autonoma in un linguaggio figurativo che rifugge dalle follie mimetiche nelle quali è coinvolta per buona parte l'arte figurale di oggi. Misurati i rapporti tonali vi regolano, con legge ferrea, la rappresentazione di un universo tutto racchiuso nell'area dello studio: "interni" nel grigio come colore dominante, e dove i tavoli di lavoro e gli strumenti con i quali l'artista pone in evidenza discreta e cauta le "sue" realtà, sono i soli modelli attraverso i quali egli traduce le invenzioni suggeritegli dall'immaginario. Quei suggerimenti prendono vita nella penombra evitando orge celebrative, per cui è più facile che l'osservatore superficiale derivi una sensazione non corretta di disfacimento sensazione che dev'essere frutto di reazioni ingannevoli alla rastremazione del colore in cui Luchini lascia appena avvertire le sue immagini non descritte. E tuttavia all'analisi attenta quelle immagini si fanno simboli di vita nascente e non di agonia poiché nell'ambiguità la mano capace di Luchini opera a suo agio. E utilizza l'incertezza della penombra per costruire i suoi ambienti che vanno articolandosi fra sogno e realtà...".

Tommaso Paloscia, luglio 1999


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